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Tre amici e un demone: Parte II

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“Lo so!” esclamò Giovanna, saltando di gioia come Archimede nella vasca, dopo aver scoperto il suo celebre principio. “Deve essere Mefistofele!”

I ragazzi fissarono la lista con crescente entusiasmo e convinzione. “Hai ragione!” confermò Pietro, gli occhi brillanti di avventura. “È l’unico nome possibile!”

Giovanna, carica di energia, continuò: “Dobbiamo dirlo tre volte, tutti insieme!”

Angelo, però, non sembrava convinto. “Aspetta, non so se sia una buona idea…”

“Perché devi sempre avere paura di tutto?” ribatté Giovanna, leggermente infastidita dalla sua esitazione. “Non è come se stessimo invocando un orco vorace!”

Pietro mise una mano sulla spalla di Angelo, cercando di rincuorarlo. “Non ti preoccupare,” disse, “insieme siamo più forti! Se qualcosa dovesse andare storto, ci sosterremo a vicenda.”

“Tre, due, uno!” contò Giovanna, senza aspettare oltre. Angelo si sentì costretto a partecipare, anche se il suo cuore batteva all’impazzata.

“Mefistofele, Mefistofele, Mefistofele!” urlarono tutti insieme.

Quello fu il loro primo errore della serata.


In un istante, l’aria si fece elettrica e un brivido freddo percorse la stanza. La tavola Ouija tremò, e i ragazzi si scambiarono sguardi preoccupati.

Un sussurro diabolico riempì l’aria: “Chi ha osato invocarmi?”

Al centro della stanza era comparsa una figura imponente, con la pelle rossa e una giacca nera impeccabile. L’unico dettaglio fuori posto erano gli occhiali, decisamente troppo grandi, che le pendevano storti sul naso.

Panico. Angelo cercò di nascondersi dietro lo zaino pieno di merendine, mentre Pietro balzò all’indietro, schiacciandosi contro il muro. Giovanna non perse tempo e corse verso la porta. L’aprì di scatto e – bam – si ritrovò con il naso premuto contro un muro di mattoni scuri che bloccava il passaggio.

“Dove credi di andare?” risuonò la voce profonda alle loro spalle. “Non abbiamo ancora finito. Anzi, non abbiamo neanche iniziato.”

Tutti fissarono la figura misteriosa in silenzio. Cercava di mantenere la compostezza, ma gli occhiali, grandi e goffi, non smettevano di scivolarle sul naso, distruggendo qualsiasi alone di terrore.

La figura sospirò e si aggiustò il colletto in un vano tentativo di dignità. “Intanto mi presento. Sono Mefistofele. Ho milleseicentottantanove anni, e sono il Procuratore generale per l’acquisizione anime del sesto cerchio.” annunciò, come se si aspettasse un applauso. Vedendo solo sguardi vuoti, la sua compostezza si incrinò. “Sono oberato di lavoro. L’anno fiscale infernale chiude stasera e mi mancano tre anime per la quota annuale. Non ho proprio tempo da perdere con dei neonati umani che mi invocano per scherzo, quando potrei già essere in pausa caffè.” Si asciugò la fronte sudaticcia con un fazzoletto rosso ricamato con una ‘M’ dorata. “E soprattutto,” aggiunse sospirando, con la voce carica di una disperazione genuina, “è lunedì…”

Giovanna chiuse la porta, attirando l’attenzione di Pietro, che si avvicinò ai suoi amici. Angelo rimase dietro lo zaino, osservando attentamente la situazione. Fu Pietro a rompere il silenzio, la voce tremolante e incerta: “Ehm… ci scusiamo per il disturbo. Se, se deve tornare al lavoro… possiamo rimandarla subito…”

“No, no, no, no, no!” esclamò Mefistofele, scandendo ogni parola con un dito che si muoveva come un metronomo impazzito. “Non funziona così! Adesso che il ballo è iniziato, dobbiamo ballare.” Il suo sorriso si fece più largo e malizioso. “E forse, possiamo anche raggiungere la quota annuale…”

Pietro e Angelo si scambiarono uno sguardo preoccupato. Giovanna, audace come sempre, trovò subito cosa dire: “Aspetta, non puoi portarci via così! Io ho letto un sacco di libri e so che puoi solo prenderci se facciamo un patto!”

Mefistofele scoppiò a ridere. “Ma non siamo mica nel Medioevo! Le coso sono cambiate. Avete mai sentito parlare di ‘Patto implicito forzato’? …Direi di no, a giudicare dalle vostre facce.” Fece una pausa teatrale. “Lasciate che vi illumini. Semplificando all’osso: secondo la sentenza MCXIV-bis della Corte inferiore del secondo cerchio, il mancato superamento di una prova ragionevole da parte di un’anima… è causa sufficiente per il suo immediato trasferimento negli inferi.”

“Non ho capito…” disse Angelo, con le lacrime che minacciavano di scendere.

“Aspetta,” disse Pietro, “quindi praticamente stai dicendo che ci darai dei compiti da fare e, se sbagliamo, ci porterai via?”

Mefistofele fece un sospiro esasperato, come quando i dannati venivano al suo sportello per segnalare che fossero stati assegnati al cerchio sbagliato dell’Inferno. “Se in questo modo è più comprensibile per i vostri piccoli cervelli mortali, allora sì, possiamo dire così.”

Il suo atteggiamento presuntuoso fece salire la rabbia di Giovanna: “Ma è completamente assurdo!”

“L’assurdo non è un fattore ostacolante per l’applicazione della legge infernale,” rispose Mefistofele. “Decisione straordinaria XVIII del Ministero del tormento,” aggiunse per completezza. “Quindi, basta chiacchiere! Prima iniziamo, prima finiamo! Altrimenti rischiamo di essere in ritardo per la pausa caffè.”

“Anche i demoni bevono il caffè?” chiese Angelo, sempre più confuso.

“Certo. L’abbiamo inventato noi,” disse Mefistofele, con un certo orgoglio. “È la bevanda del diavolo! Comunque, visto che sono un demone misericordioso e clemente, chiedo a voi chi si fa avanti per la prima sfida. Non preoccupatevi, ne faremo una a testa, così avrete tutti l’occasione di brillare!”

Silenzio. I ragazzi fissavano Mefistofele come se fossero paralizzati.

“Capisco.” Mefistofele non era per niente deluso della mancata risposta. “Allora scelgo io un volontario coraggioso!”

“Aspetta, aspetta,” disse Pietro, con una voce sorprendentemente calma. “Faccio io.”

“No, vado io!” esclamò Giovanna, il viso rosso tra rabbia e senso di colpa.

Mefistofele scoppiò a ridere. “Che eroi dell’ultimo minuto! Bene, deciderò io quale dei due generosi volontari avrà l’onore. Facciamo così…” Estrasse da un borsellino gigantesco una moneta grande quanto un mandarino, con il volto di Mefistofele stesso su un lato e un serpente su una croce storta dall’altro. “Testa o croce?”

“Croce,” disse Giovanna senza esitare.

Mefistofele lanciò la moneta in aria usando solo il pollice. Tutti la seguirono con lo sguardo mentre saliva lentamente prima di cadere a terra.

Ponk! La moneta rimbalzò un paio di volte, poi rotolò in cerchio fino a fermarsi, perfettamente in equilibrio sul bordo.

“Che sfortuna, mi sa che tocca al piccolo!” esclamò Mefistofele, puntando un dito verso Angelo. Prima che il ragazzo potesse emettere un gemito — e ignorando del tutto le proteste di Pietro e Giovanna — Mefistofele schioccò le dita. Una piccola nuvola di fumo e fuoco arancione gli avvolse la mano sinistra. Il fumo si dissipò in un istante, lasciando al suo posto una semplice scatola di fiammiferi di legno e un leggero odore di zolfo.

Mefistofele si chinò con fare da prestigiatore, aprì la scatola e, con gesti rapidi ma meticolosi, compose una figura con i fiammiferi in un angolo della tavola Ouija. Angelo si avvicinò per vedere meglio, seguito da Pietro e Giovanna.

“Questa equazione, scritta con i fiammiferi, in questo momento è sbagliata,” disse Mefistofele. “La mia prima sfida è quindi: spostare un solo fiammifero per renderla vera! E attenzione,” aggiunse con un ghigno, “il segno di uguale è sacro e inviolabile. Non puoi toccarlo.”

Concentrato sul rompicapo, Angelo sembrò per un attimo dimenticare la paura. Mefistofele ne approfittò per avvicinarsi agli altri due e sussurrare in modo teatrale: “Se sento anche una sola parola da voi, oggi tornerete tutti con me nell’Inferno!”

Un silenzio pesante riempì la stanza. Si percepiva solo il rumore nervoso delle unghie di Angelo che tamburellavano sulla tavola Ouija, mentre cercava disperatamente una soluzione.

Sfida

Riesci a trovare la soluzione spostando un solo fiammifero?


Per scoprire la soluzione alla sfida e continuare la storia, clicca qui per la Parte III!