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Toccava a Pietro, il bianco. Giovanna e Angelo fissarono la scacchiera, il fiato sospeso — una mossa sbagliata ora e sarebbe stato scacco matto per uno di loro. Mefistofele si avvicinò, il naso lucido di sudore ora che non era più nascosto dagli occhiali, e si mise ad osservare con fervente interesse.
Pietro non si mosse. Studiava la scacchiera come se potesse leggere il futuro nei suoi quadrati. La sua mano rimase sospesa sulla regina bianca, le dita che tremavano leggermente. “Se muovo la regina lì, allora…” mormorò, sentendo lo sguardo di Mefistofele bruciargli sulla nuca.
“Pietro…” sussurrò Angelo, la voce carica di ansia.
Finalmente, con un respiro profondo, Pietro afferrò la regina e posò il pezzo con un clic secco vicino al re nero di Giovanna.
Scacco.

Angelo trasalì, gli occhi sgranati. “Cosa stai facendo?” sussurrò, terrorizzato.
Ma Giovanna, invece di preoccuparsi, lasciò sfuggire un lieve sorriso. Con calma glaciale, prese la regina di Pietro con la sua.
Scacco. Il re rosso di Angelo non aveva scampo.

Angelo iniziò a piangere silenziosamente, tradito dall’attacco coordinato dei suoi amici. Ma Pietro gli strizzò l’occhio, indicando la regina con un cenno del capo.
Angelo si asciugò le lacrime con una manica e guardò la scacchiera, confuso. Il suo re non poteva muoversi. Ma cosa c’entrava la sua regina?
“Ah! Lo so!” esclamò. Prese la regina di Giovanna con la sua, salvando il re. Poi il suo sorriso svanì. In quella mossa, aveva rimesso la sua amica in scacco!

Pietro spostò il suo re di una casella, l’unica mossa possibile. Con un gesto rapido, Giovanna usò il suo re per catturare la regina di Angelo, liberandolo dalla minaccia. La regina rossa volò via dalla scacchiera.
Sulla scacchiera di legno antico, che vacillava come se stesse per dissolversi da un momento all’altro, rimasero solo i tre re in uno stallo perpetuo.

“Non ci sono più mosse legali,” dichiarò Pietro, la voce ferma. “La partita è patta. Nessuno ha vinto. Nessuno ha perso.”
Silenzio. Per un attimo si sentiva solo il respiro leggero dei tre amici e quello più pesante del demone.
Poi Mefistofele ebbe una contrazione. Sapeva che questa mossa era fatale, non poteva trascinare i tre amici all’inferno, sarebbe stata una chiara violazione del regolamento! Furente di rabbia, in un ultimo tentativo disperato di intimorirli disse “Allora… allora resterete qui per l’eternità! Tutti!”, ma la sua voce era meno profonda di prima. “Avete scelto. Non dannazione, non libertà. Resterete qui, con me.” Un sudore freddo gli imperlava la fronte, e parlava a voce sempre più spenta, come se fosse semplicemente ragionando a voce alta. “Non rivedrete mai più la luce del sole!”.
“Te l’abbiamo già detto,” disse Pietro, e in quella semplice frase non c’era traccia di paura, ma solo una calma certezza. “Preferiamo restare insieme qui, che lasciare anche uno solo di noi con te.”
Giovanna e Angelo si strinsero a lui, annuendo.
A quelle parole, Mefistofele sobbalzò come se fosse stato pugnalato. “Voi umani! Siete tutti… così… così… STUPIDI!” urlò, mentre la sua figura iniziava a contrarsi. Più la sua voce diventava un fischio acuto, più il suo corpo si rimpiccioliva, come una pergamena antica che si arrotola su sé stessa al calore del fuoco.
“La quota! La mia quota annuale!” fu l’ultimo strillo di una macchia nera e informe che ormai aveva le dimensioni di un topo.
Angelo, che era rimasto in disparte, guardò il demone accucciarsi a terra, piccolo e confuso. Quasi senza pensarci, per la prima volta senza una grammo di paura, alzò un piede e… Crac! Lo schiacciò.
Al posto di Mefistofele rimase solo una piccola nuvola di fumo nero che odorava di zolfo e caffè bruciato.

Il silenzio che seguì fu diverso da tutti gli altri. Era un silenzio leggero. Giovanna fu la prima a muoversi. Si avvicinò alla porta e girò la maniglia. Si aprì senza opporre resistenza, rivelando il normale corridoio di casa, illuminato dalla luna di Halloween.
Erano liberi.

