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“Trenta secondi,” annunciò Mefistofele, chinandosi sulla clessidra come un avvoltoio. Pietro muoveva le labbra in silenzio, gli occhi strizzati per la concentrazione, tracciando numeri invisibili nell’aria.
Un pollo spaesato, correndo in tondo, urtò la base della clessidra. Mefistofele la afferrò al volo con un riflesso felino, senza nemmeno distogliere lo sguardo da Pietro.
“Venti,” soffiò, mentre gli ultimi granelli di sabbia nera sembravano precipitare sempre più veloci verso il fondo. Dall’angolo in cui erano confinati, Giovanna e Angelo seguivano la discesa della sabbia con il fiato sospeso.
Giovanna aveva capito tutto fin dall’inizio. Vedeva Pietro che si perdeva in calcoli inutili e sapeva che stava per cadere nella trappola. Alle spalle di Mefistofele, si passò lentamente una mano tra i capelli, poi, chiudendo pollice e indice, formò un cerchio perfetto accanto alla tempia.
Pietro la vide con la coda dell’occhio, e un lampo di intuizione gli illuminò lo sguardo. “La risposta è zero,” esclamò, “perché i galli non fanno uova!”
Mefistofele si irrigidì. Si voltò così bruscamente che gli occhiali gli scivolarono sul naso. “SIGNORINA!” ruggì, puntando un dito artigliato verso Giovanna. “Quel cifrato mimato costituisce un aiuto esterno non verbale, in palese violazione del paragrafo 7, comma 2 del regolamento delle Sfide infernali! La sanzione è immediata!”
Pietro e Angelo impallidirono. Giovanna, invece, arrossì e alzò subito la voce: “Non ho detto niente! Hai detto di non parlare, non che non possiamo fare gesti!”
Mefistofele si raddrizzò, una luce pericolosa nei suoi occhi. “L’ignoranza della legge non scusa l’infrazione,” dichiarò con voce gelida. “Il regolamento è chiaro: non libererò tutti!”
Dopo una pausa calcolata per assaporare il loro terrore, schioccò le dita verso la porta. Il muro di mattoni svanì, rivelando il normale corridoio di casa. “Ma sono un demone di parola,” disse. “Il primo che attraversa quella soglia è libero. Gli altri due… verranno con me. Per sempre.”
Un silenzio glaciale scese sulla stanza. Pietro guardò Angelo, che tratteneva le lacrime, poi Giovanna, che evitò il suo sguardo. Nessuno si mosse.
“Allora?” incalzò Mefistofele. “Chi di voi sarà il traditore?”
Giovanna fece un passo avanti. “Io non vado da nessuna parte,” disse, la voce bassa ma con un tremito appena percettibile.
Angelo fissò la porta aperta, gli occhi dilatati dal terrore. Le sue gambe iniziarono a tremare.
Pietro si girò verso Mefistofele e scosse la testa. “Nessuno. Restiamo insieme.”
Giovanna chinò la testa. Un sorriso triste le comparve sulle labbra, e una lacrima le scese sulla guancia. Angelo, mentre la paura si trasformava in confusione, guardò Pietro, poi la porta liberatoria, poi Giovanna, e infine annuì lentamente.
Mefistofele scoppiò in una risata nervosa. La sua figura, un attimo prima così maestosa, sembrò per un istante rimpicciolirsi. “Chi ti credi di essere?” chiese a Pietro. “Hai paura che i tuoi amici ti abbandonino qui?”
“Preferiamo finire all’Inferno tutti insieme, piuttosto che lasciare anche solo uno di noi con te,” dichiarò Pietro con determinazione ferrea, incrociando le braccia in un gesto teatrale degno di Mefistofele stesso.
Tutto d’un colpo, il volto del demone divenne di un rosso sempre più acceso. “COSÌ NON SI PUÒ FARE!” urlò, la voce che gli si incrinava. “MA È ASSURDO! È ILLOGICO! È… È CONTRO TUTTI I REGOLAMENTI! NON AVETE CAPITO NULLA! NULLA!”
I tre ragazzi rimasero sbalorditi. Mentre continuava a urlare, un fumo grigio iniziò a uscire dalle sue orecchie. In un gesto di rabbia incontenibile, si strappò gli occhiali dal naso e li scagliò in un angolo. Cedettero all’impatto con un suono fragile e cristallino, come una pallina di Natale in vetro che si frantuma sul pavimento.
In preda alla rabbia pura, Mefistofele sbatté un pugno nel vuoto. L’aria stessa si increspò e una scacchiera di legno antico si materializzò al centro della stanza, sospesa a mezz’aria come appoggiata su un tavolo invisibile. La sua forma ondeggiava lievemente, come un’immagine riflessa nell’acqua.
“L’ULTIMA SFIDA!” gridò, con la voce che ora era un misto di urlo e sibilo. “Una partita a scacchi per tre! Il primo che subisce lo scacco matto è mio! È la vostra ultima, misera possibilità di salvarvi!”
Prima che potessero reagire, una corrente d’aria gelida e potente li spinse tutti e tre verso la scacchiera. Angelo inciampò e si aggrappò al bordo per non cadere. Osservando da vicino, videro i pezzi disposti in modo insolito: non solo i classici neri e bianchi, ma anche un terzo esercito di un rosso sanguigno ma sbiadito.
“Non so giocare a scacchi…” disse Angelo, la voce rotta dalla paura.
“Non m’interessa minimamente,” lo interruppe Mefistofele. “Anzi, se ti vuoi offrire volontario per la dannazione eterna, mi fai risparmiare tempo.”
Angelo abbassò lo sguardo, cercando disperatamente di ricordare le regole da una memoria lontana di qualche partita giocata contro la nonna anni fa.
La partita ebbe inizio. Le prime mosse furono un caos di pedoni spinti in avanti e cavalli che balzavano in tutte le direzioni. La regina di Giovanna fece piazza pulita dei pedoni di Angelo, che si guardò intorno smarrito.
Dopo una manciata di mosse, però, un silenzio carico di intesa scese sui tre ragazzi. Smisero di guardare Mefistofele e iniziarono a guardarsi tra loro.
Pietro si chinò sulla scacchiera. “Non dobbiamo vincere,” sussurrò appena. “Dobbiamo pareggiare. Forziamo uno stallo.”
Fu come se avesse dato il via a un balletto silenzioso. Invece di attaccarsi, iniziarono a muoversi all’unisono. Giovanna offrì la sua torre a Pietro, che la prese senza esitazione. Pietro sacrificò il suo alfiere per salvare il re di Angelo.
Non giocavano più contro di sé, ma insieme contro Mefistofele.
Il demone, ormai cremisi, correva da uno schieramento all’altro come un insetto impazzito. “Non si può! È frode! È sabotaggio!” sbraitava, indicando la scacchiera con un dito tremante. “Dovete sgozzarvi, non aiutarvi! È una sfida, non una… una… una riunione di condominio!”
Ma ormai era troppo tardi. Con una serie di mosse rapide e coordinate, la scacchiera si era spopolata. Non rimanevano che i tre re e le tre regine, in un equilibrio precario.

Sfida
Tocca a Pietro, il bianco, poi al nero, poi al rosso. Con una serie di mosse forzate, i tre ragazzi devono sacrificare tutte e tre le regine, lasciando solo i re in stallo. Qual è la mossa chiave del bianco che inizia questo processo?
Torna domani per scoprire la soluzione e il gran finale della storia!

